Prima broadcaster lo capiranno, prima adotteranno strategie sensate
Scaglioni (Università Cattolica): L’industria “tradizionale” della TV non ha ancora ragionato a sufficienza su TikTok e YouTube. La contrazione del consumo della TV generalista è contenuta, ma la questione vera è se sia controbilanciata – e spiegata – dalla crescita dei consumi in streaming. Prima i broadcaster tradizionali iniziano a capire che il loro terreno di competizione sta cambiando, prima si inizieranno a intraprendere delle strategie sensate.
Intervista al Prof. Scaglioni
Dopo aver visto come opera il centro e aver discusso di televisione convergente e, soprattutto, aver appreso come i possessori di Smart TV abbiano ormai una fruizione ripartita in misura 50/50 tra tradizionali canali lineari e SVOD, approfondiamo le questioni legate alle piattaforme streaming e a come i broadcaster tradizionali vi si possano relazionare.
TikTok e YouTube
(Newslinet) – Nelle indagini definite “Total Audience” si iniziano a rilevare i canali social più video-oriented quali TikTok e YouTube. Come vi ponete rispetto a queste realtà ?
(Massimo Scaglioni) – Abbiamo delle stime di tempo speso su entrambi, soprattutto grazie al lavoro che fanno alcuni dei nostri partner, con cui analizziamo questi fenomeni. È impressionante notare come, soprattutto fra le giovani generazioni, entrambi stiano crescendo in termini di tempi di consumo. A mio avviso l’industria “tradizionale” della TV non ha ancora ragionato a sufficienza su quanto sta accadendo, soprattutto fra i più giovani.
Una contrazione contenuta del consumo della TV generalista
(NL) – Nella slide Evoluzione della platea: i consumi prima, durante e dopo la pandemia affermate che “…Oggi (Novembre 2021, N.d.R.) la platea è di poco più di un milione di spettatori inferiore al periodo pre-pandemico“. Ciò parrebbe contrastare col quadro generale che avete descritto come piuttosto roseo per la TV in generale…
(M.S.) – Sì e no. Si è data molta enfasi, nei mesi scorsi, al supposto “crollo della TV generalista”. Ma i dati erano davvero falsati perché si confrontavano i risultati di questo autunno con quelli del precedente. Ma sono dati incomparabili, per quanto dicevo prima. Se confrontiamo i dati col periodo pre-pandemico, c’è una contrazione del consumo generalista, ma più contenuto.
Equilibri in evoluzione
Il tema, per me cruciale, è: questa contrazione è controbilanciata – e spiegata – dalla crescita dei consumi in streaming? Questa è la vera domanda da porsi. In altre parole, la mia sensazione è che si consumino più audiovisivi nel contesto post-pandemico, ma gli equilibri tra TV tradizionale e streaming inizino a cambiare. Ciò detto, io sono convinto che la TV tradizionale, con le sue specificità di generalismo e di presidio del “qui e ora”, continuerà a rimanere centrale anche nei prossimi anni.
Golden rule e mucche nella notte
(NL) – Nella slide Un anno in Total Audience parlate di una crescita del 26% (2021/2020) dei “Legitimate Stream”. Come sono definiti e quale la durata minima di visione perché uno stream venga conteggiato?
(M.S.) – È la misura definita dalla cosiddetta golden rule di Auditel. È molto importante che ci sia una misurazione stabilita con criteri chiari e trasparenti, perché nel mondo “Internet” spesso queste misurazioni rappresentano un po’ una “notte in cui tutte le vacche sono nere“, per fare una citazione colta.
Solidità dei dati
Nel mondo televisivo questo non è possibile, la TV ci ha abituato a dati solidi, trasparenti e condivisi almeno dagli anni Ottanta, una certezza per i mercati e per gli investitori pubblicitari.
Basta 1/3 di secondo
Per rispondere alla sua domanda tecnica, un Legitimate Stream è uno stream della TV digitale (cioè attivato da un device connesso in rete, anche una Smart TV) e visualizzato per almeno 300 millisecondi. Gli stream di durata inferiore ai 300ms di fatto non vengono conteggiati nel mondo della Total Audience, una garanzia per evitare di “montare” scorrettamente i dati…
Streaming +68% di ore fruite
(NL) – Nella ricerca parlate di un incremento del 68% del tempo speso fruendo contenuti televisivi in streaming (da 472 a 790 milioni di ore). Tuttavia, la ricerca si ferma proprio a maggio 2021, quando in qualche modo il lockdown è terminato. Potete anticiparci cosa è successo nell’estate e autunno 2021?
(M.S.) – Da quello che vediamo, l’abitudine a dedicare più tempo a consumi in streaming, per varie ragioni (l’aumento delle produzioni originali “digital only”, il tema del calcio, la forza della cosiddetta “catch-up“, cioè il recupero di quanto si è perso in palinsesto), è in crescita. Ma è un po’ presto per tirare le somme, lo faremo con l’Annuario 2022, che speriamo di poter presentare attorno a novembre di quest’anno.
Audience vs ore cumulate
(NL) – Sulle pagine di NL abbiamo ospitato BARB che ha risposto a Netflix su quale sia la miglior metodologia da utilizzare per censire gli ascolti in un’epoca di non linearità: Ore Cumulate (preferite da Netflix) rispetto ad Audience (preferita da BARB). Come vi ponete rispetto alla questione?
(M.S.) – Non vedo una contrapposizione tra “audience media” e “tempo speso”, anche perché il calcolo della prima dipende dal secondo dato. Il problema con le stime di Netflix, pur interessanti, è che sono dei mega-aggregati globali che ci dicono poco. A differenza di quanto ha fatto BARB, che ha finalmente proposto un dato confrontabile di un contenuto che, a mio parere, è pienamente televisivo: “Squid Game“, una serie TV.
Un messaggio per i broadcaster tradizionali
So che c’è nell’industria chi sostiene che una serie, o una partita di calcio, una volta distribuita da una piattaforma di streaming, è quasi “ontologicamente” qualcosa di diverso da un prodotto TV. A mio parere, e lo dico con tutta la cautela del caso, non è così: prima i broadcaster tradizionali iniziano a capire che il loro terreno di competizione sta cambiando e che bisogna contrastare gli attacchi di questi potenti attori globali, prima si inizieranno a intraprendere delle strategie sensate.
La torta cresce, cambia il rapporto tra le fette
(NL) – Qualche numero sui ricavi pubblicitari di Google/YouTube e Facebook rispetto a quelli dei broadcaster tradizionali.
(M.S.) – Negli anni della crisi economica la torta si è ristretta, poi dal 2016 è ricominciata la crescita. La TV tradizionale ha tenuto bene le sue posizioni nello scorso decennio, ma sono soprattutto gli attori “globali” d’Internet che sono cresciuto in modo impressionante. Anche questi sono dati da cui, a mio parere, gli editori tradizionali dovrebbero iniziare a ragionare in termini un po’ più strategici.
L’Italia dei contenuti: poca originalità
(NL) – Parliamo di contenuti. Nella slide intitolata Format internazionali e indice d’innovazione: nuovi e rinnovi dichiarate che rispetto ai contenuti l’Italia è poco esportatore e molto importatore. Dov’è il problema?
(M.S.) – Il problema sta nel fatto che questo indicatore ci racconta di una industria dei contenuti, quella italiana, che investe poco nell’originalità, nello sviluppo di cose nuove, e preferisce adagiarsi o sulla continua ripetizione del già visto (l’ennesima edizione del solito reality) oppure, quando va bene, sulla sperimentazione attraverso format internazionali.
Ricerca e sviluppo nel dominio dei contenuti
Quest’ultima cosa non è affatto un problema in sé, ma almeno una piccola quota di “ricerca e sviluppo” negli investimenti di broadcaster e case di produzione potrebbe ridare dinamismo a una industria ferma e conservatrice. Fuori dall’Italia abbiamo esempi straordinari, da Israele alla Corea. Cosa abbiamo in meno noi italiani, soprattutto nel campo della creatività?
In collaborazione con: newslinet.com